Dall’11 novembre (inaugurazione alle 19,00) presso il Ristorante la Tavernetta, in via 28 Agosto, 15, nel centro storico di Bibbiena, Milleforme inaugura, alla presenza dell’autore, la personale di Loretto Ricci. Un viaggio suggestivo nelle memorie di un artista eclettico e versatile.
“Sono nato al Poggio di Arsicci, in Badia Tedalda, nel 1953, nello stesso anno in cui Loretto Petrucci, un toscano veloce, vinceva la Milano Sanremo con grande entusiasmo del babbo e dei cugini. Il passaggio del fronte di guerra era ancora vicino nei racconti di nonna Vilelma, capofila di una frotta di donne, zie, cugine, mamme, che hanno riempito la mia infanzia con chiacchiere, conflitti solidarietà. La materia da modellare era vita quotidiana, co la farina da spengere per il pane, le pecore da tosare o con il latte da pigliare dentro le forme di cacio, anche il tempo mi appariva come un cerchio plasmato dal ciclo dei lavori e delle stagioni, immerso in un impasto di odori, racconti, animali che figliavano, fatica. Le prime opere d’arte toccate sono state i pastori per il presepe modellati da mia madre con la “motta creta” scavata sotto casa e poi dipinta con la sinopia o la porporina ed i bastoni di salice intagliati come zebre dallo zio Duilio. Ho frequentato scuole di orientamento tecnico, studiando per divenire disegnatore congegnatore meccanico, e intanto, spinto dagli amici, in quegli anni ’70 leggevo Pavese, Hemingway, e poi Kafka, Gramsci, Pasolini. Nel 1974 ho iniziato a lavorare come operaio. Nel 1977 sono diventato dirigente del Movimento dei Lavoratori dentro il Sindacato CGIL. Un’esperienza ancora in corso, una grande occasione di crescita umana e politica, di passione e di orgoglio nel rappresentare i bisogni, desideri e valori delle persone che vivono con la forza del proprio lavoro. Negli anni ’80 mio fratello minore Pierluigi e i suoi amici artisti hanno mischiato ai miei libri quelli su Goya, Caravaggio, Van Gogh, così bene da confonderli con le poesie di Neruda, i saggi di Hegel e Marx, tanto che piano piano sono diventati, come lo sciopero e le manifestazioni, strumenti per cambiare questo mondo sempre più minaccioso. Così, nel 1988 sono andato a riprendere la creta di mia madre e il coltello dello zio, oltre alla penna tanto faticosamente acquistata, e da allora continuo, cercando dialoghi nuovi con i segni e le impronte, per poter costruire un rapporto profondo, armonioso, con le forze incessanti che ogni istante di vita racchiude” (Loretto Ricci)